Eremo di San Michele alle Grottelle.

La Chiesa rupestre di San Michele alle Grottelle

Si tratta di una caverna – santuario situata alle pendici meridionali della Civita, sulle cui origini come luogo di culto, si hanno poche notizie. Data la sua vicinanza con l’antica città lucana, potrebbe essere stata frequentata già in età preistorica, e successivamente utilizzata come luogo di culto del dio pagano Attis “signore delle forze sotterranee, delle acque, dei terremoti”: ciò spiegherebbe anche la natura del sito.

A parziale conforto di questa ipotesi, un’epigrafe a lui dedicata si trova nella Certosa di San Lorenzo murata nella base del gigantesco torchio nelle cantine. Le notizie sono poche anche per ciò che riguarda il passaggio dal rito pagano a quello cristiano. Anche qui, alcune ipotesi possono aiutare a tracciare le linee di una storia avara di documenti. Fu probabilmente Costantino il Grande ad importare il culto dell’Arcangelo Michele che sostituì quello di Attis. A tal proposito è da ricordare come nei riti pagani e cristiani locali si possono riscontrare affinità tra le due figure, circostanza questa che rese meno traumatico il passaggio di culti dall’uno all’altro. Quanto all’origine della chiesetta, essa potrebbe essere il frutto dell’iniziativa di qualche pio cittadino per devozione, iniziativa piuttosto diffusa e già riscontrata in altri simili casi. La caverna-santuario è delimitata da un muro che chiude la cavità rocciosa. Oltre l’ingresso, sulla sinistra, una rientranza della roccia ospita un primo ciclo di pitture databile alla fine del Trecento, di gusto aragonese, dove sono raffigurate l’incoronazione della Vergine con il coro celeste a sinistra, la morte della Vergine a destra e  al centro, in una piccola edicola, la Madonna col Bambino racchiusa ai lati da immagini di Santi.

Più avanti è l’accesso alla grotta che costituisce la cappella principale. A sinistra, sulla parete rocciosa, si trova la tomba di marmo cinquecentesca di Bernardino Brancaccio, abate del convento di San Nicola al Torone da cui l’eremo dipese a partire dall’undicesimo secolo circa. Un medaglione riproduce le sembianze del prelato effigiato di fronte e con la testa coperta da un semplice zucchetto. Più in basso, un epitaffio datato 1538 ne ricorda lo spirito religioso e la severità dei costumi. Segue un accentuato arretramento della roccia che assume quasi una forma circolare, a mò di abside naturale. Qui è collocato un altare su cui poggia una piccola statua dell’Arcangelo. Dietro l’altare, un’edicola ospita un ciclo pittorico con scene di vita di San Giacomo di Compostela, del quattordicesimo secolo. In questi affreschi si avverte il passaggio, “dalla concezione estetica bizantina, legata al rigido simbolismo, ad una maggiore fluidità di linee, vicina alla maniera cavalliniana e poi giottesca diffusa nelle nostre contrade dalla scuola di Roberto D’Oderisio”, (Tortorella). Un piccolo ambiente, ricavato anch’esso nella roccia, ospita la sacrestia; in anni più recenti, l’insieme è stato completato con una piccola casa del pellegrino.